L’Associazione “Il Filo di Eloisa” di Orvieto è impegnata fin dalla sua nascita a valorizzare e restituire alla memoria collettiva le figure di quelle donne che a vari livelli hanno lottato, spesso rischiando la loro giovane vita, contro la sopraffazione della libertà e dei diritti, dando un contributo sostanziale alla Resistenza e all’affermarsi della democrazia. L’esercizio di questa memoria storica è stato paziente e minuzioso da parte delle studiose, perché “dopo la fine della guerra, a partire dal 1948, c’è stato una specie di silenzio generale sulla resistenza femminile”, come afferma la storica Simona Lunadei, autrice di molti testi sull’argomento tra cui Storia e memoria. Le lotte delle donne dalla liberazione agli anni 80.
Questo perché si cercò di normalizzare il ruolo delle donne, che proprio in quel periodo avevano sperimentato un’emancipazione di fatto dai ruoli tradizionali e anche perché molte donne non hanno chiesto un riconoscimento, sentendo di aver fatto solo il loro dovere; hanno continuato a impegnarsi nella società in continuità con i loro ideali e, come spesso accade nelle vicende dolorose legate alla guerra, solo più tardi, quasi alla fine della loro vita, alcune di loro hanno ritenuto giusto scrivere una memoria di ciò che avevano vissuto.
In questa prospettiva vogliamo ricordare quest’anno due donne accomunate dalla loro appartenenza ai Gap (Gruppi di azione patriottica) della Resistenza romana che hanno partecipato, giovanissime, alle azioni di lotta armata del marzo 1944: Marisa Musu (1925-2002) e Carla Capponi (1918-2000) protagoniste insieme a Lucia Ottobrini e Maria Teresa Regard di un bel ricordo del 2020 dal titolo Le 4 ragazze dei GAP, a cura del Coordinamento donne dell’ANPI provinciale di Roma.
Marisa Musu nasce a Roma nell’aprile del 1925 da una famiglia antifascista di origini sarde. La madre Bastianina Martini Musu è una militante repubblicana, strenua sostenitrice del suffragio universale (“Vi invitiamo a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e cavallerie d’altri tempi, ma vi preghiamo di valutarci come espressione di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire”); lei e il marito saranno tra i fondatori del Partito d’Azione. L’educazione familiare le trasmette i valori di libertà e democrazia e Marisa compie la sua scelta: ancora studentessa entra nell’organizzazione clandestina del PCI insieme ad Adele Maria Jemolo, svolge attività illegali contro il fascismo e, dopo l’armistizio, partecipa alla battaglia per la difesa di Roma come staffetta del comando militare.
Aderisce ai Gap con il nome di battaglia di “Rosa”, è la più giovane della formazione guidata da Franco Calamandrei. Rosa partecipa a varie azioni contro i tedeschi. Il 3 marzo 1944 è presente all’assassinio di Teresa Gullace, la donna madre di cinque figli che viene uccisa mentre va a salutare il marito e che ha ispirato il personaggio del film Roma Città aperta. Carla Capponi estrae la pistola e la punta contro l’uccisore, ed è subito arrestata dai tedeschi. Nella confusione, Marisa ha la prontezza di sottrarle l’arma e di infilarle in tasca la tessera di un’associazione fascista, grazie alla quale la Capponi riesce a riacquistare la libertà. Il 23 marzo partecipa all’attentato di Via Rasella e nell’aprile viene arrestata dalla polizia fascista; dal carcere femminile sfugge alla condanna a morte fingendosi malata e scappando dall’ospedale con l’aiuto di medici antifascisti.
Al termine della guerra è insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare. All’esperienza della Resistenza ha dedicato il libro autobiografico La ragazza di Via Orazio, scritto in collaborazione con il marito Ennio Polito nel 1999. Nel dopoguerra continua l’attività politica nel PCI, lavorando per anni con Enrico Berlinguer e dedicandosi a un’intensa attività a contatto con le donne nelle borgate romane. Diventa giornalista professionista, lavora a Paese Sera e a L’Unità; per conto di questi quotidiani è stata inviata a Pechino, a Praga nel 1968, in Vietnam, in Mozambico, in Palestina conduce un’indagine sull’infanzia nei territori occupati raccolta nel volume del 1991 “I bambini dell’Intifada. Venti storie di ragazzi palestinesi”.
Nel 1976 è con Gianni Rodari tra i fondatori del Coordinamento genitori democratici, associazione impegnata ad insegnare e praticare i valori di una scuola antifascista, laica e democratica, di cui è stata Presidente nazionale per alcuni anni; ha diretto, succedendo nell’incarico a Rodari, il mensile Il giornale dei Genitori. È stata membro del Direttivo nazionale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), vicepresidente dell’ANPI provinciale di Roma. Marisa Musu è scomparsa a Roma il 3 novembre 2002.
“Se sono serena, non è solo perché ho fatto tante piccole cose e, nel farle, ho incontrato uomini e donne e con loro ho vissuto e lavorato per qualcosa che credevo giusta. Sono serena perché incorreggibile ottimista, sono convinta che le grandi cose che hanno costituito il filo conduttore del mio impegno – la fine delle ingiustizie sociali, una reale uguaglianza tra i popoli, la libertà, la pace – e quelle che sono venute dopo – un mondo libero dall’inquinamento, rispettoso delle leggi della natura, multietnico – ci mettono, per realizzarsi, più tempo di una vita, della mia certamente, ma alla fine si compiono“. (Marisa Musu)
Gappisti romani. Al centro a terra Carla Capponi, in alto a destra Marisa Musu
Carla Capponi, medaglia d’oro al valore militare con il grado, partecipò giovanissima alla resistenza romana quando era ancora studentessa di Giurisprudenza. All’indomani dell’8 settembre ‘43 entrò nei Gap (Gruppi azione patriottica) romani nei quali organizzò numerosi atti di sabotaggio a cui partecipò con audacia e grave rischio personale, come nell’episodio citato dell’uccisione di Teresa Gullace. Il 23 marzo 1944 prese parte all’attentato di via Rasella a cui i nazisti reagirono con la strage delle Fosse Ardeatine. Sfuggita fortunosamente alla cattura da parte della polizia tedesca che aveva fatto irruzione nell’appartamento in cui aveva trovato rifugio, il Cnl decise di mandarla, insieme ad alcuni altri componenti del Gap romano, in alcune zone della provincia per unirsi alle bande partigiane che si erano costituite nei Castelli romani e nella zona Prenestina.
Nel maggio del 1944 raggiunse la zona Prenestina, col titolo di vice comandante, insieme a Rosario Bentivegna e Francesco Currelli. Nella zona di Palestrina, il maggiore centro dei Monti Prenestini, i bombardamenti degli Alleati erano stati massicci e la popolazione era evacuata nelle campagne, ma l’ opposizione antinazista non si disperse. Anzi si intensificò in primavera e realizzò una serie di azioni contro i rifornimenti delle truppe tedesche e, in un secondo momento, per l’eliminazione fisica degli stessi nazisti. La formazione partigiana di Palestrina si rafforzò proprio con l’arrivo di Carla Capponi e dei suoi compagni. Le azioni si susseguirono e portarono, tra il 19 e il 20 maggio, all’uccisione di undici nazisti e alla cattura di un numero doppio.
Il 24 maggio i partigiani attaccarono il Municipio per la distruzione delle liste di leva e sottrarre i giovani alla deportazione e al loro impiego come sminatori. La risposta dei tedeschi comportò la l’incendio dell’intero edificio e in seguito rappresaglie sulla popolazione civile, di cui la più crudele fu quella nella località di Vigesimo, dove il 28 maggio furono uccise undici persone tra partigiani e civili, uomini e donne, sette dei quali membri della famiglia Pinci. Palestrina fu poi liberata i primi di giugno.Nel 1998 Carla Capponi rese una testimonianza nell’ambito di una ricerca curata da Lucia Motti e Simona Lunadei e pubblicata dalla Provincia di Roma col titolo “Donne e Resistenza nella provincia di Roma. Testimonianze e documenti”.
Oltre a rievocare alcune azioni armate, Carla Capponi parla della differenza tra la lotta in clandestinità e quella nelle bande organizzate in zone di montagna. Mette a tema non solo la vulnerabilità del corpo femminile nella circostanze della lotta, ma anche la vulnerabilità dei corpi dei compagni e dei nemici. Pone l’argomento, che già in mezzo alle battaglie la interrogava, sulla necessità della violenza e l’esercizio della pietà verso i nemici feriti. Rievoca anche attimi di comunicazione e di speranza condivisa come quando ricorda i momenti in cui recitava le poesie di Montale alla giovane contadina Alida Degano, arruolata alla brigata come cuciniera e con ruoli di assistenza ai partigiani e ai soldati rifugiati dopo l’8 settembre.
Carla Capponi in questa memoria mette particolarmente in evidenza il coraggio e i gravi rischi che correvano consapevolmente le staffette e le fiancheggiatrici. Queste ultime, rimaste spesso anonime, ospitavano e nascondevano prigionieri, preparavano il cibo per i partigiani, trasportavano messaggi e armi e costituivano quella resistenza diffusa che rendeva possibili le azioni partigiane e ha posto le basi di un Paese libero. La passione politica e l’impegno di Carla Capponi, che nel 1944 aveva sposato Rosario Bentivegna e aveva avuto una figlia, cui diede il suo nome di battaglia, Elena, continuerà anche dopo la fine della guerra. Nel 1953 viene eletta deputata nelle liste del PCI; nel 1972 si ripresenta nel collegio di Roma ottenendo un numero di preferenze di lista inferiore solo a quello di Enrico Berlinguer. Fa parte del comitato di presidenza dell’Anpi fino alla fine della sua vita. Pochi mesi prima della morte, avvenuta nel 2000, pubblica il suo libro di memorie Con cuore di donna, Il Saggiatore 2000.
In questo 25 aprile 2021 vogliamo rivolgere a tutte le donne e specialmente alle più giovani l’esortazione che Carla Capponi inserisce nella Prefazione del libro: “Ogni atto della nostra vita richiede prontezza, decisione, impegno, volontà, determinazione, ma soprattutto “cuore”, e anche un po’ di fortuna, che consiste in quell’insieme di fatti coincidenti che ti aiutano, se riesci a vincere l’indolenza e la sfiducia in te stessa (…) Sono certa che tu avresti superato con “coraggio”, che è poi vittoria sulla paura, tutto quanto è toccato a me e a milioni “ di donne”.