“Offrire spunti e riflessioni adeguate per una lettura di genere della società regionale è una operazione complessa”, per la tipologia e la diversità di elementi e fattori che condizionano e compongono l’analisi e per la necessità di avere “una visione più avanzata e meno lineare della società umbra dei nostri tempi”. Si è aperto con questa premessa l’intervento che il presidente dell’Agenzia Umbria Ricerche, Claudio Carnieri, ha tenuto durante il convegno su “Le politiche di genere per lo sviluppo dell’Umbria” che si è svolto a Monteripido di Perugia. Nel suo intervento Carnieri ha indicato, tenendo conto di dati e contributi derivanti da studi, Rapporti e pubblicazioni, possibili “piste di ricerca” e ipotesi di lavoro per una lettura di genere dell’Umbria contemporanea nei vari ambiti della società regionale: dai servizi, all’economia, dal lavoro al welfare, dalla educazione alla formazione, alla famiglia fino alla politica e ai meccanismi informativi.
Un excursus a tutto campo da cui emerge un “processo di scomposizioni e ricomposizione di valori, di orientamenti, di legami per i quali la condizione di vita e di lavoro, le idee, le culture, il senso di sé delle donne costituisce uno spaccato fondamentale e una dimensione decisiva per capire i cambiamenti in corso”. Luci e ombre di una presenza femminile che tra i giovani si caratterizza come più colta e più studiosa dei maschi, più forte nel denunciare l’ingiustizia sociale, ma che allo stesso tempo manifesta la più intensa “gracilità sociale” rispetto a tutti gli indici del disagio giovanile, sino alla solitudine e allo scarso apprezzamento di sé. Anche nelle dinamiche familiari, nella natalità, nella composizione di famiglie con più nuclei si evidenzia la complessità di processi dove le donne svolgono un ruolo di tenuta sociale, ma subiscono un accumulo di stress, di tensioni e pesi che testimoniano, nel vissuto femminile, un punto di caduta forte delle dimensioni di possibilità e libertà. Anche sul fronte del lavoro c’è un gap di genere che vede, nel 2010, un tasso di disoccupazione femminile dell’8,6% rispetto al 5,1% maschile, con un andamento negativo che si ripresenta anche nei tassi di occupazione, nella possibilità di accesso al lavoro, soprattutto per le giovanissime, e nelle retribuzioni medie delle lavoratrici dipendenti, del 27% inferiore a quella degli uomini.
Al contrario è invece alto il dato sull’imprenditoria femminile con 24 mila 795 imprese umbre ad inizio 2011, ed un tasso di femminilizzazione di quasi il 26 per cento del totale. Allo stesso modo è alto nel mercato regionale il dato di scolarizzazione della componente femminile. Uno spaccato fondamentale per leggere la presenza delle donne nella società umbra è dato poi dal lavoro di cura che, complessivamente considerato (svolto dalla famiglie, da persone esterne a pagamento e a titolo gratuito) è stato stimato in oltre 8 miliardi di euro l’anno, pari al 37% del Pil regionale. Gran parte di queste attività sono svolte dalle donne, anche quando hanno una occupazione, nell’ambito di attività domestiche che le accompagnano per tutto l’arco della vita. A ciò si aggiunge, con il tempo, la cura dei bambini, di adulti e anziani non autosufficienti.
Relativamente alla partecipazione alla politica solo il 29,8 per cento delle donne parla di politica almeno una volta la settimana e oltre il 42 per cento non ne parla mai, un dato che colloca l’Umbria (secondo una ricerca ISTAT) vicino alle regioni meridionali. Allo stesso modo nei meccanismi informativi più forte appare in Umbria il “peso della TV” (oltre il 95%, il dato più alto del centro Nord). Più basso è il livello di lettura dei quotidiani (37,4% è il dato regionale, contro un 38.8% della Marche, un 45.8% della Toscana e 47.7% dell’Emilia Romagna). Al contrario le relazioni di lavoro (13.1%), come dinamiche di socializzazione informativa, collocano l’Umbria ai livelli delle regioni più avanzate.