Sole d’ottobre

di Ornella Cioni

Un raggio batteva sui suoi capelli, mentre camminava davanti a me sul sentiero tra le colline.
L’onda morbida del suo caschetto fluttuava al ritmo del suo passo cadenzato e il sole d’ottobre rivelava la tonalità più calda di quella seta rossa. Provavo un impulso fortissimo di toccarle i capelli, di accarezzarle la testa con un gesto leggero per dirle il mio affetto, quanto fosse importante per me, quanto la mia vita traesse forza dalla nostra amicizia.
Ma questi gesti non erano abituali tra noi.
Non c’erano professioni di affetto o di amicizia, solo manifestazioni indirette di stima, accennate approvazioni per un vestito o un paio di orecchini, qualche secca disapprovazione da parte sua e qualche commento omesso da parte mia.
Del resto ci cercavamo sempre e pur tra le difficoltà ci organizzavamo per condividere alcuni impegni e per trascorrere insieme un po’ di tempo libero.
Ci dava forza e piacere trovarci d’accordo sui libri, sui giudizi politici e soprattutto sulle persone.
Bastavano a volte una mezza parola, un gesto o uno sguardo per comunicarci che condividevamo lo stesso giudizio su una persona o un discorso ascoltato e ciò sembrava confermare percorsi, scelte, visioni del mondo comuni.
Era un po’ come dirsi: – Sì, siamo proprio amiche.
Ma il non dirselo, il non dirselo mai apertamente, mi lasciava a volte un’incertezza: sì, eravamo amiche, ma quanto ero importante, quanto contavo tra le sue tante amiche?

Guardavo la sua nuca inaccessibile.
I suoi capelli rosso naturale erano certamente un tratto caratteristico della sua persona, la prima spia, come vuole la tradizione popolare, di una diversità: lei era indomita, intransigente, sempre un passo avanti.

Camminavamo volentieri insieme e anche questo era un tratto che ci accomunava. Due buone camminatrici: le azioni che compivamo insieme aggiungevano una qualità alla mia persona, la definivano. Mi sembrava una conquista di libertà camminare per la campagna insieme a lei, chiacchierando.
Era più bassa di me ed attaccava i sentieri con passi brevi e rapidi, ma la sua andatura aveva un ritmo implacabile, che solo dopo un po’ rivelava la sua forza, quando anche sulle salite più ripide non cedeva ad un ritmo più lento. Solamente le mie gambe più lunghe, forse, mi aiutavano in genere a mantenere il passo, ma il respiro mi si faceva più pesante. Lei camminava col suo corpo compatto, di cui si intuiva la forza anche se procedeva con un’andatura aggraziata.
Instancabile andava avanti, come nella lettura, come nel ragionamento, come nel tessere e ritessere relazioni per realizzare le sue idee e le sue proposte.

Mi aveva colpito fin dall’inizio per quello che diceva, nel seminario di letteratura femminile che frequentavamo, e avevo cercato di stabilire un contatto con lei. Io no, non le ero piaciuta subito; me lo disse in seguito quando insieme, una volta, ricostruimmo i primi momenti della nostra amicizia.
Le parole mi affascinano spesso più dei lineamenti. A quel tempo i suoi capelli rossi erano increspati sciattamente da una permanente poco curata e le sue gambe scattanti erano mortificate da una lunga gonnellona nera a fiorellini, con fitta arricciatura, che celava del tutto l’andatura ritmata.
Portava sempre una maglietta di lana color ciclamino. Lei stessa diceva che non le stava bene, perché non si intonava al colore dei suoi capelli. Ma era il velo grigio che le appannava lo sguardo e la carnagione del viso a rendere opaco il suo aspetto. Era il velo di un grande dolore che l’aveva colpita in quel periodo.
Solo le sue parole rivelavano allora la sua forza, la sua intensità e la sua bellezza.

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